SENTIERI INTERROTTI


30 scatti inediti di Martin Heidegger.
La mostra nasce in occasione del ritorno a Reggio Emilia del Convegno Nazionale dei Dottorati di Ricerca in Filosofia (11 e 12 Settembre 2025)

Nel 1966, Martin Heidegger viveva ormai da tempo in una condizione di ritiro volontario. La sua baita di Todtnauberg, nella Foresta Nera, era diventata non solo rifugio fisico ma anche luogo simbolico, spazio di distacco e meditazione. Fu lì che, nell’autunno di quell’anno, arrivarono due inviati del settimanale tedesco “Der Spiegel”, Rudolf Augstein e Georg Wolff. L’obiettivo: realizzare un’intervista approfondita con il più influente - e al tempo stesso controverso - filosofo del Novecento. L’incontro non fu semplice. Heidegger accettò a condizione che il testo venisse pubblicato solo dopo la sua morte. Dieci anni più tardi, nel 1976, pochi giorni dopo la sua scomparsa, “Der Spiegel” diede alle stampe l’intervista con un titolo che riecheggiava una delle sue affermazioni più enigmatiche: Nur noch ein Gott kann uns retten — Ormai solo un Dio ci può salvare. Quella conversazione è stata interpretata come il suo “testamento spirituale”: un bilancio intellettuale e umano, nel quale si intrecciano riflessioni sul destino dell’Occidente, il ruolo della filosofia, l’essenza della tecnica e le sue implicazioni politiche, etiche e storiche. Non mancò, in quelle ore, il nodo più delicato: il rapporto di Heidegger con il nazismo e il significato della sua adesione al partito negli anni Trenta. Dopo il 1945, il filosofo era stato sottoposto al processo di denazificazione avviato dalle autorità di occupazione francesi. Il tribunale universitario di Friburgo lo aveva classificato come Mitläufer (“simpatizzante” o “fiancheggiatore”), riconoscendo una compromissione politica ma non una responsabilità penale diretta. Come conseguenza, fu sospeso dall’insegnamento e dagli incarichi pubblici dal 1945 al 1951, senza ulteriori condanne. Ad accompagnare i giornalisti, c’era anche la fotografa Digne Meller Marcovicz, incaricata di documentare visivamente l’incontro. I suoi scatti non cercano la monumentalità, ma colgono la dimensione quotidiana: Heidegger seduto alla scrivania; il gesto di allacciarsi una scarpa; la sagoma che cammina tra gli alberi; il recupero di un secchio d’acqua alla fontana; il volto segnato ma sereno.
Immagini che restituiscono un uomo comune, lontano dalla retorica del “maestro” o del “profeta”, eppure capace, con il proprio pensiero, di ridefinire la filosofia contemporanea.
Dietro la semplicità di quei gesti, si avverte la densità di un’opera che ha interrogato in profondità il rapporto tra uomo e tecnica, anticipando questioni che ancora ci attraversano: dalla minaccia nucleare fino alle attuali sfide dell’intelligenza artificiale. La sua analisi della tecnica come forza autonoma e pervasiva, capace di determinare il destino dell’umanità, risuona oggi con una forza rinnovata, in un’epoca in cui l’automazione, la sorveglianza digitale e gli algoritmi plasmano società e culture.
Grazie alla voce di Marina Coli e all'accompagnamento musicale di Gabriella Marconi, i versi poetici di Holderlin - poeta amato da Heidegger - hanno avuto come controcanto quelli Paul Celan, poeta segnato dalla Shoa, che incontrò Heidegger proprio nella residenza di Todnauberg, alla ricerca di una parola chiarificatrice ... che non giunse.

Si ringraziano Laura Sassi e Fabrizio Fontanelli per le foto


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